La leggendaria Route 66 non è solo una strada. È un pezzo di storia dell’America, della sua vita, dei suoi abitanti, della sua cultura, della sua arte, della sua musica, della sua letteratura e del suo cinema: un monumento nazionale.
Attraversatela e vi sembrerà di sentire nelle orecchie la chitarra di Bruce Springsteen, sulla pelle il vento dell’America degli anni ’50 e nell’anima i sogni e le speranze dei milioni di “pellegrini” che cercavano fortuna nell’Ovest, specialmente negli anni bui della Grande Depressione, intorno al 1930.
Cosa tratteremo
Il ritorno del mito della frontiera
La highway, inaugurata nel 1926 e battezzata col nome Route 66 perché era facile da ricordare, è infatti il nastro d’asfalto più famoso d’America (e del mondo), che attraversa gli Stati Uniti per 3940 km, da Chicago nell’Illinois a Santa Monica Pier in California.
Primo collegamento tra la costa orientale e quella occidentale, la strada originale attraversava 8 Stati, diventando presto la via della speranza per i nuovi pionieri del west provenienti soprattutto dalle piccole cittadine del Missouri, Oklahoma, Texas e Kansas (gli altri Stati che percorre sono Illinois, New Mexico, Arizona e California).
Gli anni d’oro della Route 66
Il grande traffico che travolse improvvisamente la Route 66 coincise con i suoi anni d’oro. Lungo il percorso sorsero piccoli hotel, stazioni di servizio (alcune sono addirittura menzionate nella lista dei “Luoghi Storici degli Stati Uniti”; tra le più note la Ambler’s Texaco Gas Station di Dwight, la Standard Oil Gas Station sita a Odell, la Sprague’s Super Service di Pontiac e la Soulby Service Station a ridosso di Mount Olive), drugstore, tavole calde.
Leggenda narra che la “Mother Road” fu la complice silenziosa della nascita dei fast food a stelle e strisce: nel 1940 a San Bernardino, sul tracciato della Route 66 due fratelli, Richard e Maurice, inaugurarono il loro primo ristorante: il loro cognome era McDonald. Che tutte le leggende abbiano un fondo di verità?
Un altro omaggio alla R66 arriva da Cars il film d’animazione Disney del 2006, che punta i riflettori sul mito e la grandezza della “Mother Road” e dell’era dei motori prima della costruzione dell’Interstate “I-40” che ne deviò il traffico, lasciandola abbandonata. Il luogo immaginario nel quale è ambientato il film, “Radiator Springs”, lo si riconosce nel tratto compreso tra Kingman e Seligman in Arizona, tanto che nel lungometraggio si ritrovano molti emblemi della strada, dall’architettura alle pompe di benzina fino al tipico motel a forma di “capanna indiana”.
In viaggio sulla Route 66
Oggi la madre di tutte le strade ha conservato circa l’80% del tragitto originario; alcune parti nel tempo sono state infatti dismesse, sostituite o inglobate in altre strade.
Per percorrerla tutta occorre quindi studiare una mappa che riporti i tratti originari dell’antica strada: per esempio, le highway che hanno preso il posto della Route 66 sono la “I-55” (da “Chicago a St. Louis”), “I-44” (da “St. Louis a Oklahoma City”), “I-40” (da “Oklahoma City a Barstow”), “I-15” (da “Barstow a San Bernardino”), “I-10” (da “San Bernardino a Santa Monica”); in genere la “Mother Road” corre parallela a queste superstrade. Riconoscere i tratti esclusi non è poi così difficile: avendo una certa età, si sono adattati al paesaggio che li circonda ed appaiono quindi alquanto tortuosi. E poi lungo il percorso ci sono dei cartelli che indicano l’antica via.
Viaggiare sulla R66 (se volete farla tutta prendetevi almeno 2 settimane) significa immergersi in panorami mozzafiato, tra stazioni di servizio sperdute nel nulla e vetuste pompe di benzina, auto dimenticate e tratti di asfalto desolato ma circondato da distese di campi di granturco che paiono non finire mai; chiese di legno che spuntano in terreni riarsi e sfavillanti insegne al neon dei tanti motel che costeggiano la strada nel suo lungo viaggio verso l’oceano della California; enormi cartelli pubblicitari con immagini a ricordo di un lontano passato che non vuole scomparire, e qua e là qualche Drive In sopravvissuto ai decenni e ancora funzionante (per godersi un vero film on the road, uno dei più noti è il Carthage nel Missouri); e poi punti ristoro solitari per viaggiatori affamati, e stravaganti e spesso bizzarre attrazioni, o monumenti, che si innalzano improvvisamente dinanzi allo sguardo dei “naviganti”; e ancora città fantasma e i deserti del Chihuahua, Mojave e Sonora, le Grandi Praterie e l’Altopiano del Colorado; le stelle del cielo d’America.
Dove dormire
Il costo medio di una camera in un motel lungo la Route 66 è di 45 euro a notte. Tra le catene di motel più note ci sono “Days Inn”, “Mote6”, “Travelodge”, “Comfort In”, “Ramada”, “Knights Inn”. A Tucumcari, in prossimità di Santa Fe, nel New Mexico, si trova uno dei Motel più conosciuti della R66, il “Blue Swallow”.
Per intraprendere il viaggio considerate due opzioni: noleggiare una moto (il costo per più di una settimana si aggira attorno ai 2000 euro) o un’auto (in questo caso si spende un po’ meno, circa 1500 euro). Occorre poi il certificato “ESTA” (Autorizzazione Elettronica di Viaggio), e procurarsi la patente internazionale.
Ma non programmate l’itinerario da seguire nei minimi dettagli; la Route 66 è l’espressione della libertà: lasciate che sia il viaggio stesso a condurvi all’avventura e all’esplorazione di uno dei più grandi miti made in Usa.
Si parte, direzione ovest
La Route 66 inizia da Chicago, la cosiddetta “Città del vento” adagiata a ridosso delle sponde del lago Michigan nello stato dell’Illinois; per grandezza preceduta solo da New York e Los Angeles. Nulla impedisce di cominciare il viaggio a ritroso da Santa Monica, ossia da ovest verso est, ma da quando è nata, il vero viaggio on the road sulla “Mother Road” (così viene anche chiamata la R66 nel famoso romanzo” Grapes of Wrath” di John Steinbeck, metafora “dell’American Dream“) comincia da qui.
Il cartello che indica l’inizio della Route 66 si trova davanti all’Art Institute of Chicago; viceversa quello che indica la fine, se si arriva dalla California, è posizionato all’incrocio di “Jackson Boulevard” e di “Michigan Avenue” e riporta la dicitura “End of Historic Route 66”.
A Chicago imperdibile è la vista dei grattacieli di downtown con uno skyline sottomesso alle “Sears Tower” (il più alto grattacielo degli Stai Uniti, 108 piani per 443 m), e una visita al “Museum of Contemporary Art” (racchiude una raccolta di capolavori dal dopoguerra ai giorni nostri); se invece volete sentire battere l’autentico cuore blues della metropoli, una puntatina lo merita il “Blu Chicago”. E per uno shopping selvaggio dirigetevi sul “Magnificent Mile”.
Prima tappa: Springfield
Proseguendo si giunge a Springfield, la città dove nacque Abramo Lincoln, sede di un bel giardino botanico nel Washington Park ed oggi candidata a patria dei Simpson.
Lungo il tragitto che vi porta da Chicago a Springfield, farete la conoscenza di tantissime cittadine e simboli che hanno reso celebre la R66: il Rich and Creamy of Joliet, sul tetto del quale fa sfoggio di sé un’enorme statua dei Blues Brothers, i Murales di Pontiac, lo sciroppo d’acero naturale prodotto da oltre un secolo dalla Funks Grove Family di Shirley, il Dixie Cafe of McLean e il gigantesco carro del presidente Lincoln.
Terza tappa: Saint Louis
Tra lo stato dell’Illinois e il Missouri ecco Saint Louis, famosa per il Gateway Arch, la Porta dell’Ovest, un gigantesco arco bianco costruito nel 1954, alto oltre 190 m e rivestito d’acciaio inossidabile. Prima però ammirate il Chain of Rocks Bridge; tanto tempo fa era parte della Route 66 e lo si utilizzava per oltrepassare il Mississippi.
Arrivati in Kansas, salire sull’Altopiano d’Ozark: ad attendervi un paesaggio fatto di limpidi torrenti e boschi incontaminati.
Quarta tappa: Tulsa
Altra tappa importante è Tulsa, la capitale del petrolio negli anni splendenti della R66 e dell’art déco degli USA centrali, situata nello Stato dell’Oklahoma. Da vedere è la Jazz Hall of Fame dentro la Union Station. Passando per Catoosa, d’obbligo è farsi una foto vicino alla gigantesca balena azzurra di cartapesta, una volta parte di un parco acquatico.
A Oklahoma City si avrà un primo assaggio dell’autentico stile western (da visitare il National Cowboy & Western Heritage Museum), ma per entrare in contatto con dei veri cowboy occorre attraversare il confine col Texas e catapultarsi ad Amarillo. Qui ogni anno si tiene l’asta di bestiame più grande del mondo e una sosta la merita il Big Texan Steak Ranch, un locale diventato famoso per la gara della “bistecca da 2 chili”. Se qualche impavido riesce a trangugiarla tutta, compresi i contorni, nel tempo massimo di 1 ora è gratis (il digestivo però non è incluso!).
Appena fuori dalla città sarà praticamente impossibile non venire catturati dalla visione del Cadillac Ranch, il cui nome trae ispirazione dall’opera d’arte postmoderna di tre artisti che, negli anni ’70, hanno letteralmente “piantato nel terreno” dieci Cadillac. Il motivo è semplice: la Cadillac rappresenta il mito americano dell’automobile.
Quinta tappa: Santa Fe
Quindi il New Mexico con Albuquerque, caratteristica città del sud-ovest d’America attraversata dal Rio Grande, nella quale non sarà difficile cogliere il vecchio fascino tipico delle zone più meridionali degli Stati Uniti e rimanere affascinati dalle White Sands, un deserto di sabbia così candido da parere neve. E poi la città di Santa Fe, con la sua coinvolgente allegria di chiara impronta messicana: da visitare la Missione di San Miguel e la Cattedrale di San Francesco di Assisi; senza tralasciare il Museum of International Folk Art e il Museum of Indian Art and Culture, mentre ad Albuquerque non mancate la Old Town.
Sesta tappa: il Grand Canyon
Continuando sulla Route 66 diretti verso lo Stato dell’Arizona è da prendere in alta considerazione una piccola deviazione verso nord per una visita al Grand Canyon; non rientra nel percorso originale, ma come non cogliere l’occasione per vedere una gola naturale che arriva a quasi 1900 metri di profondità? E, se possibile, da non tralasciare sono anche la Monument Valley, e la stupefacente Foresta Pietrificata.
Settima tappa: il Four Corners
Fermatevi a Gallup. Qui ci sono undici murales che rappresentano la cultura e la storia del posto, il Rex Museum e il celebre El Rancho Hotel. Nel percorso che vi porterà a Flagstaff ed al suo famoso cratere, ricordo di un meteorite precipitato ben 50.000 anni fa, vi imbatterete nel Four Corners, il posto in cui sarà possibile sperimentare il dono dell’ubiquità, ossia il poter essere contemporaneamente in più posti differenti. Qui i posti sono 4 perché 4 sono gli Stati dell’Unione che qui si “incontrano”: Arizona, New Mexico, Colorado e Utah.
Vicino al confine col Nevada stop a Oatman, antico set cinematografico dove respirare l’aria dell’antico Far West: pistoleri (per finta) inclusi.
Verso la fine (o l’inizio?) del viaggio
Infine, dopo una sosta a Barstow, autentico museo a cielo aperto della “Mother Road”, con il Route 66 Mother Road Museum, il Desert Discovery Center e ancora il Western American Railroad Museum, più i tanti cartelloni, segnali stradali e locali dall’inconfondibile stile anni ’50, risalenti all’epoca in cui la strada era ancora ufficialmente riconosciuta, ecco la città degli angeli: Los Angeles. Patria di star, hotel, negozi e locali che probabilmente si riconosceranno al primo sguardo perché visti in una lista infinita di film e serie tv; più le immancabili palme e la scritta bianca Hollywood a fare da cornice.
Tra le attrazioni più curiose nelle quali imbattersi nel tratto californiano della Route è da segnalare il Bottle Tree Ranch, una “foresta di alberi” fatti di metallo che per foglie hanno vere bottiglie di vetro.
E poi Santa Monica Pier, la fine del viaggio ma non dei sogni. Fermatevi a contemplare il cartello con la scritta “End of the Trail”; andate sul grande pontile e salite sulla ruota panoramica simbolo della città; ma stop alla nostalgia: potete sempre rifare tutta la Route 66 all’indietro!